Lo Stato ebraico costretto a difendersi dalle minacce per non finire accerchiato

Il Principe Verde che rinnegò Hamas. "Vogliono sostituire ebrei e cristiani"

Quella notte di vent'anni fa in cui Sharon sacrificò Gaza per una pace impossibile

Il reporter di Sinwar, capo di un battaglione

Il Giornale, 12 agosto 2025
I giornalisti che insistono sul fatto che Anas al Sharif, sia una vittima dell’aggressività dell’esercito israeliano, che fosse anzi un professionista che praticava con coscienza e passione il dovere di informare e che ha avuto il merito di mostrare al mondo come stanno veramente le cose a Gaza, cioè un inferno creato dalla crudeltà di Israele, e non dalla schiavitù nazista in cui la popolazione affamata e usata come scudo umano da Hamas, non fa un servizio alla professione. E mente. Anzi, ribadisce il sospetto che si accetti di aver visto Gaza attraverso uno schermo nero di odio antisemita, di un’interpretazione dei fatti di cui nella fattispecie, al Sharif era un rappresentante politico, pratico, armato, molto attivo. Leggiamo cosa ha scritto sul 7 di ottobre: entusiasta durante le stragi, gli stupri, ancora fra bambini scannati e donne stuprate ha scritto: “Nove ore e gli eroi ancora conquistano il Paese (Israele invasa, ndr) uccidendo e catturando… oh Dio! Dio! Quanto sei grande!”.
Sì, questo era il reporter al Sharif, che certo raccontava quello che vedeva attraverso questi occhiali, quelli della strage e del terrorismo non solo narrato, ma condiviso anche nella pratica. Prima di colpirlo l’IDF ha raccolto una quantità di documenti, nomi, fatti, stipendi: al Sharif era il comandante del battaglione missilistico di Hamas a Jabaliah orientale, era responsabile degli attacchi contro i civili israeliani, e l’esercito. I missili da Gaza sulla gente innocente dei kibbutz e della costa sono stati un’attività terroristica di primo piano, e Anas doveva esser molto bravo se lo mostrano intrinseco al movimento i vari selfie affettuosi con Sinwar e Khalil al Hayya, e anche un vero bacio del mostruoso capo che ha concepito l’eccidio del 7 ottobre e ha eliminato con le sue mani i suoi antagonisti. Pur di uccidere gli ebrei ha disegnato senza pietà il sacrificio del suo popolo, e Anas sembra nelle foto un virgulto preferito, un leader giovane che infatti ha partecipato, come per altro altri giornalisti scoperti sul fatto, anche all’incursione stragista del 7 ottobre. Una nukba, né più né meno. Una sua foto intrisa di emozione partecipativa lo mostra in quel giorno mentre esulta coi suoi colleghi di Hamas che prendono un carro armato, in pieno scontro. Come giornalista si può considerare un faro per i tanti che durante tutta la guerra di Gaza l’hanno intessuta di odio per criminalizzare Israele, hanno esaltato i dati unilaterali e fasulli forniti dai palestinesi, hanno indotto i miti di carestia causata da Israele, e non da Hamas che rubava le tonnellate di aiuti, e hanno introdotto il concetto di genocidio, il più orribile fra i rovesciamenti della verità caricati su Israele, nel tentativo di ridisegnarlo nel ruolo di aggressore cancellando il 7 ottobre.
Se quello di al Sharif era giornalismo, allora Israele ha colpito un giornalista. Ed è triste pensare che le sue esternazioni fossero seguite da 564mila followers su X e 1milione e 6mila su Instagram. Folle enormi, milioni esposti ai pensieri del discepolo e soldato del macellaio nazista Sinwar ora piangono la morte e accusano Israele di aver ucciso un giornalista. Questo è divenuto il giornalismo oggi?
Netanyahu lancia l’operazione verità. "Liberiamo Gaza piena di terroristi"
Il Giornale, 11 agosto 2025
Tutti sanno che Netanyahu non ama parlare coi giornalisti: ma lo ha fatto. Ha incontrato ieri la stampa estera, anche quella che lo attacca anzi lo addenta dal punto di vista politico e umano da anni, quella che ha attribuito a Israele i peggiori crimini di guerra e genocidio. Il Primo Ministro israeliano è sceso in campo dunque sull’ottavo fronte col suo perfetto inglese e la sua famosa verve comunicativa; chiaro che la scelta era di cercare personalmente di scuotere l’opinione pubblica dalla valanga di menzogne che è diventata un autentico fronte di guerra, e che si è rinnovata con fuochi d’artificio all’annuncio di allargare la guerra a Gaza, chiamandolo “occupazione”.
Il fronte avverso ha avuto grandi successi, le fonti solo palestinesi, difficili oggi da smantellare: come ha detto Jibril Rajub, segretario generale di Fatah, “la guerra del 7 di ottobre è diventato l’Olocausto palestinese, la nostra carta vincente”; o come ha suggerito Ghazi Hamad, leader di Hamas: “Tutto il mondo è ormai contro Israele, chi l’avrebbe mai detto che Israele sarebbe stata accusata di genocidio e pulizia etnica?”. Netanyahu, ha parlato con tono teso ma convinto, sincero. Sullo sfondo, la tempesta in patria: Smotrich che comunica la sua perdita di fiducia nel Primo Ministro e minaccia le dimissioni, e, ferita emotiva molto seria, i familiari dei rapiti infuriati, che chiedono uno sciopero generale domenica. Netanyahu si è confrontato con la lettura del comportamento di Israele come guerrafondaio, crudele opponendo la decisione inappellabile di destrutturare Hamas e recuperare gli ostaggi. Ha contestato dunque la fame come arma di guerra, l’intenzione di distruggere un intero popolo, il numero di morti, la scelta di fare una guerra per la perfidia dell’intero popolo ebraico. Le sue parole hanno condannato le piazze antisemite (una cinquantina di manifestazioni ieri in Grecia! Meta adorata dagli israeliani, vicini di casa) e le istituzioni internazionali (l’ONU e l’UE in funzione antiamericana, vecchi amici coma la Germania) che ora non trovano niente di meglio della bandiera stracciata dello Stato palestinese. Netanyahu sa bene che mentre parlava sullo sfondo rulla il tamburo che lo accusa personalmente, sempre, di opportunismo politico, di corruzione, persino di un po' di fascismo. Israele è in una jungla in cui deve avventurarsi adesso da solo, cercando una simpatia troppo costosa per l’opportunismo di tanti.
Netanyahu ha cercato di farsi capire: “Contrariamente a quel che dite, questa è la via più rapida per por fine alla guerra” ha ripetuto, spiegando che Gaza è sotto controllo per il 75 per cento e come Hamas sia in possesso soltanto di Gaza City e dei Mawasi, i campi centrali. Là si concentrerà l’azione, ma prima si farà in modo che la gente se ne possa andare in zone salvaguardate. Il Primo Ministro ha insistito sull’impegno di Israele ha distribuire aiuto, sul fatto che ha fatto entrare 2 milioni di tonnellate di cibo con una politica che è l’esatto contrario dell’affamare la gente. E poi ha spiegato come Hamas abbia sequestrato con la forza gli aiuti, come le Nazioni Unite non abbiano distribuito il cibo e ora si cerchi di rimediare. Netanyahu ha promesso velocità, mesi di guerra possono portare a molte perdite di soldati e alla morte dei rapiti; si è sforzato di descrivere un futuro di sicurezza, non di occupazione, con un potere civile fatto dal mondo arabo, ma certo non da Fatah e Hamas, che insegnano ai bambini a uccidere gli ebrei e a distruggere lo Stato d’Israele. “I palestinesi non hanno mai desiderato un loro stato che gli abbiamo offerto dal 1948, cercano solo di distruggere Israele”. Le famiglie dei rapiti vorrebbero che Bibi lasciasse perdere tutto per uno scambio che tuttavia Hamas non promette. Niente di buono può derivarne. Non avreste lasciato i nazisti a Berlino ha detto. Il teatro in cui pensa, la sua fiducia nella vittoria sembra derivare da una visione più vasta, da un disegno in cui all’Iran e agli hezbollah e a Hamas sconfitti si aggiungano, con l’aiuto degli USA, le forze del grande motore della violenza sullo sfondo. Netanyahu vuole completare la liberazione di Gaza nonostante la possibile rottura nel suo governo e nonostante il movimento per i rapiti che è il cuore di Israele. Witkoff tratta ancora per i rapiti, le riserve richiamate per novembre sono centinaia di migliaia… si capisce che Bibi gioca su un campo largo, scommette su un mondo diverso, dove il trauma del 7 di ottobre si curi con un intervento apicale.
L' Europa contro Israele fa il gioco di Hamas

Il Giornale, 10 agosto 2025
Certo, la tentazione pavloviana di accettare la chiamata populista della parola “pace”, di saltare indietro scandalizzati di fronte alla “occupazione” (anche se è poi è diventata “controllo territoriale” ridotto nello spazio), di infischiarsene dei fatti a fronte del consenso e del bon ton europeo è grande. Anche se il biasimo verso Israele significa ignorare i fatti, o fingere di ignorarli: battere un’organizzazione terroristica pericolosa per la vita di Israele e del mondo intero, con le sue alleanze e la sua determinazione a combattere l’Occidente, mentre cerchiamo di salvare i rapiti torturati nelle loro mani. È difficile, rischioso, ma che fare altrimenti? Di questo non si sente eco, non c’è discussione sulla sostanza, non si parla di come una democrazia può vincere il terrore islamista, e invece si rafforza di fatto la strategia di diniego di Hamas, si disegna un muro di sostegno che promette più terrorismo, morte dei rapiti, crescita dell’antisemitismo. L’ha detto molto chiaramente Rubio, il segretario di Stato americano: quando Israele era sull’orlo di recuperare gli ostaggi, Hamas ha chiuso con un “no” le svariate trattative, le proposte di Witkoff (10 ostaggi) e di Netanyahu (tutti gli ostaggi), dopo che Macron ha reso linea politica internazionale proposto all’ONU uno Stato palestinese che lo ha rifornito di nuovo del consenso di cui aveva bisogno.
Anche Hamas ha chiesto uno Stato palestinese dopo che l’ha fatto Macron e ha anche rivendicato il 7 di ottobre come ragione della sua vittoria sull’opinione pubblica. Non c’è in Europa chi non condanni senza ragionarne il progetto di allargare il fronte a Gaza City: un altro tassello al biasimo contro il Primo Ministro israeliano, che porta sempre con sé, sui giornali e nei partiti, un bottino di consenso. Si è voluto dire che anche l’America dissente citando J.D. Vance, e non è vero: il vicepresidente americano sostiene il punto di vista israeliano, ammette solo che ci sia qualche “parere diverso”. Punto. Sul piano mentre lo si condanna si sa poco, non si cita, non se ne suggerisce alternativa né per recuperare i rapiti, né per battere Hamas, i due scopi dichiarati e indispensabili per i quali non c’è alternativa dato il rifiuto di Hamas, appunto, a ogni accordo. Ma cedendo ai consigli moderati di Eyal Zamir, che teme come parte dell’opinione pubblica israeliana, logicamente, per la vita dei soldati e dei rapiti, l’ingresso dell’esercito è ridotto a Gaza City, e sarà preparato (questo si sa per ora) con un mese fuori della città e poi comprende un mese nella città allo scopo di sgomberare i cittadini per separarli da Hamas e ricostruire una struttura urbana vuota dal loro dominio, mentre si interromperà per questo l’impresa bellica dentro la città. Lo sgombero porterà intanto la popolazione in zone umanitarie dotate di 16 nuovi centri forniti dagli USA che lavoreranno 24 ore su 24 all’aiuto. Due mesi sono tanti: Hamas ha tempo di ripensare al suo rifiuto e riaprire la strada a qualche trattativa, dato che la minaccia di sottrazione di una porzione di territorio è per l’Ummah islamica molto più grave di quella della perdita di vite umane.
Netanyahu lascia aperta la possibilità di riaprire una trattativa, e nel suo programma non ha parlato di nuovo di “tutti” i rapiti. Interessante: Smotrich, obiettivo favorito della stampa internazionale come prova delle tendenze antidemocratiche e anche opportuniste di Netanyahu, giovedì scorso ha votato contro il programma, sostenendo che non si deve interrompere la guerra per nessuna ragione. L’Europa lo sa questo? Che Netanyahu, sempre accusato di giocare per la sua durata, va diritto per la sua strada, cioè rimuovere Hamas e recuperare i rapiti? E perché non è su questo, invece che sulla parola “occupare” che non esiste nel programma, che l’Europa, compresa l’Italia, non si pronuncia? E non dice nulla nemmeno sulla nuova idea del Primo Ministro israeliano di affidare il futuro della striscia a una coalizione araba di cui ci si può fidare? Anche questo non va bene, se lo fa Israele? Lasciamo da parte Gutierrez che al solito parla di “dangerous escalation”, l’ONU non conta più nella discussione la sua vulnerabilità e il suo ruolo nella disinformazione è proverbiale.
Ma la Germania che alla vigilia dell’anniversario del 7 di ottobre, il giorno che ha visto più assassinati ebrei dal tempo Shoah, dichiara l’embargo delle armi a Israele, suona come una bestemmia che duole troppo ascoltare e che troppo porta gli odiatori degli ebrei a unirsi a Hamas in tutte le piazze del mondo. Questo è ciò che può davvero rendere difficile, più della guerra che è sempre terribile, ritrovare vivi quei ragazzi ischeletriti nelle gallerie.
Non sarà un’occupazione, lo scopo è eliminare Hamas. Il potere a Paesi arabi fidati

Il Giornale, 08 agosto 2025
Dopo 700 giorni l’estremo sforzo per salvare i rapiti

Oggi Ariel Bibas avrebbe compiuto sei anni. Invece, col suo fratellino Kfir e la mamma Shiri sono stati uccisi da Hamas che li aveva presi in ostaggio. Israele non vuole arrendersi all’orrore imposto dal culto di morte di Hamas per i 20 rapiti ancora nelle mani dei terroristi. Non può: l’intera guerra che ormai ha 700 giorni è stata combattuta, fra alti e bassi, all’insegna della liberazione dei rapiti, è stata rallentata, interrotta, modificata per questo. I soldati hanno combattuto come leoni, perdendo intorno a 800 loro fratelli, col sogno di liberare le creature agonizzanti detenuti dai carcerieri che li hanno torturati, violentati, uccisi. Ma questo non vuol dire “occupare Gaza”. Di questo si parla dal 2014, ma la possibilità di una occupazione totale è remota e certo parziale anche se dalla riunione di ieri emergono le voci di una determinazione del Primo Ministro a usare lo strumento di una presenza e di una guerra allargata per piegare il nemico. Si prevede, tuttavia, un’altra riunione di gabinetto oggi, un’altra ancora, e poi il voto del parlamento. Ieri nel gabinetto ristretto, Netanyahu, Ron Dermer, Ministro degli Affari strategici, Israel Katz, Ministro della Difesa, e il Capo di Stato Maggiore Eyal Zamir si sono incontrarti per rigirare la questione sotto ogni aspetto. No, Ben Gvir e Smotrich non sono stati invitati.
Il tema è chiaro, e Netanyahu lo ribadisce a ogni intervento: Hamas ha rifiutato ogni proposta di scambio ragionevole, Israele ha messo in questi giorni, d’accordo con Trump, al primo posto la questione dell’aiuto umanitario anche se l’assalto di Hamas ai camion rende difficile la distribuzione del cibo alla gente, che a sua volta assale i distributori. Ma della gente a Hamas non importa nulla, il cibo è la sua arma di ricatto e arruolamento; i rapiti sono il suo oggetto più prezioso, una assicurazione sulla vita, mentre conta anche sul cieco sostegno dell’opinione pubblica internazionale che seguita a sostenerlo anche di fronte all’immagine dei rapiti ischeletriti. Ma Israele non lascia perdere: gli ostaggi stanno per morire di fame se non si agisce subito, e dunque Israele prende in considerazione l’idea di andarseli a prendere dove non è mai stata: dentro la città di Gaza… nei mowassi, i campi densi di sfollati dal nord. Per la stampa internazionale la parola “occupazione” è un boccone ghiotto, la fantasia è che Israele abbia una fantasia imperiale: ma Gaza fu un frutto mai desiderato caduto dalla guerra di aggressione dell’Egitto nel 1967, nido poi di agguati islamisti continui.
Il 15 agosto di 20 anni fa Sharon volontariamente e senza contraccambio se ne andò sperando in un buon vicino palestinese. Errore fatale. Israele si trovò addosso un’entità omicida, quella di Hamas. Occupare, tradotto in linguaggio odierno, vuol dire avventurarsi a combattere in nuove zone dove si pensa che siano tenuti i rapiti. Eyal Zamir è più cauto del gruppo, teme, come del resto in varie misure tutta Israele, che combattendo si metta a rischio la vita dei rapiti. Dunque, si è detto che lui e Netanyahu siano allo scontro diretto, fino alle dimissioni, ma non ci sono notizie dirette. Zamir di certo preferirebbe una tecnica non di ingresso interno, ma di accerchiamento, e ha presentato, come si fa, il suo piano: deciso, particolareggiato, certo anche con i particolari sui luoghi segreti di detenzione in cui l’esercito non è mai entrato, luoghi in cui si asserraglia ciò che rimane di Hamas, strutture delicate come ospedali, depositi di armi e di esplosivi, zone umanitarie in cui si deve agire con la pinzetta per evitare la morte di innocenti e l’aggressione dei media internazionali. Se gli ostaggi non torneranno, se Hamas non si decide ad accettare un accordo “si apriranno le porte dell’inferno”: ormai è un modo di dire questa frase ripetuta durante questi interminabili 700 giorni, un paio di volte da Trump, qualcuna dal Ministro della Difesa israeliano Israel Katz, con giri di parole persino da Netanyahu.
E la guerra invece è andata avanti con inesorabile crudeltà e lentezza, gli scambi hanno lasciato nelle mani mostruose dei terroristi 20 rapiti vivi, ridotti come prigionieri di Auschwitz, e 30 corpi che le famiglie esigono perché siano almeno seppelliti degnamente. Può darsi che tutta questa discussione e persino i titoli sul piano ancora non varato siano solo un mezzo di intimidire Hamas. Può darsi che dopodomani si vada all’invasione per cercare i rapiti. O che all’improvviso Witkoff torni col suo piano dei dieci in cambio di sessanta giorni di tregua. Ma c’è anche forse nel governo di Israele la consapevolezza che per l’Islam estremo il controllo territoriale è l’unico argomento valido, mentre la morte dei suoi shahid è anzi parte della guerra che ha scelto contro l’Occidente. Che strano: l’Occidente non ama la morte. Ama la vita, come Israele, eppure fiancheggia Hamas. Ma Israele cercherà i suoi rapiti, vivi e morti.
Ecco la foto della fame indotta da Hamas

Cosa il mondo non lascia fare a Hamas, fino a che punto si è consegnato nelle sue mani. Hamas si sente libero di ricattare Israele terrorizzandolo con lo strumento della fame dei rapiti mentre gode i frutti internazionali del suo successo per la campagna piena di falsi e di omissioni sulla fame che lo Stato ebraico avrebbe indotto a Gaza. Ma mentre svariate fra le foto più estreme dei bimbi palestinesi affamati hanno avuto la loro smentita, le immagini che abbiamo visto ieri sono implacabili, autentiche nel disegnare la morte per fame dei ragazzi rapiti da Hamas e Jihad Islamica il 7 ottobre. Veri corpi disseccati pelle e ossa, le lacrime, le invocazioni di cibo e di aiuto, mentre i carcerieri mangiano davanti.
No, non cresce la pressione europea su Hamas, ma le richieste dell’organizzazione terrorista che vuole essere esaudita fino all’ultima virgola: restare padrona delle armi, del terreno, di tutti i prigionieri di Israele, specie quelli con l’ergastolo. Evyatar David e Rom Barslavsky sono le efficaci armi scheletrite, disperate, affamate, piangenti che Hamas e i suoi hanno scelto: contano sul fatto che la cultura occidentale non sa più riconoscere la crudeltà, la cattiveria, che la confonde con i risultati non desiderati di una battaglia di difesa.
L’ ostentazione dei corpi da Auschwitz paga, fa paura mentre viene proposta come arma legittima della grande vacca sacra del nostro tempo gli «oppressi». Hamas mostra la sua peggiore crudeltà ed è sicura che questo la aiuterà a costringere il mondo a inginocchiarsi, ad arrendersi, un altro passo verso la vittoria dell’islam sul nostro mondo. La bandiera terzomondista consente le peggiori nefandezze ricevendone premi dall’Onu e dall’informazione, Macron e Starmer annusano il consenso, gli scheletri dei rapiti vengono messi da parte come il bombardamento ripetuto per due volte in una settimana su Gerusalemme, come gli 800 soldati israeliani che cadono negli agguati mentre tentato di liberare la Striscia.
I video mostrano chiaramente che Hamas spara sulla sua stessa folla quando tenta di sottrargli il bottino, mentre gli aiuti si accumulano. La pietà è selettiva. Evyatar e Rom cercano di sopravvivere a uno dei più ingiusti, mistificanti attacchi della storia, come tutta Israele.
Le fake news che aiutano i terroristi
